giovedì 13 marzo 2014

Nel barrio de “La Boca”…

Dal blog "Simona Sacri travel blogger"

Benvenuti al Caminito de la Boca...
Letteralmente la “bocca” del Riachuelo, un piccolo fiume che porta al più grande e conosciuto Rio della Plata… il vecchio porto di Buenos Aires, oggi in disuso, dove a metà’ dell’800 arrivavano gli immigrati europei, spagnoli ed italiani, in gran parte, per lavorare nelle fabbriche conserviere di carne argentina nei dintorni.
Inizia el "caminito..."
Non potendosi permettere delle abitazioni normali, in molti si costruivano, proprio nel quartiere dellaBoca, delle case con gli avanzi dei materiali delle chiatte del porto, utilizzando le vivaci vernici di queste ultime per colorare le loro baracche, finendo col conferirgli, così, involontariamente e del tutto casualmente, quell’aspetto caratteristico che ha reso la Boca famosa nel mondo
In pieno Caminito...
El Caminito“, dal nome di una famosa canzone di tango, e’ la strada più’ pittoresca e turistica delBarrio, e’ una piccola via caratterizzata proprio dalla presenza di queste casine che, con i loro colori accesi e contrastanti, regalano uno scenario tutto da fotografare…
nel Barrio della Boca... "caricatura" dell'emigrante italiano...
Senza allontanarsi troppo verso le vie laterali, si tratta comunque di un quartiere abbastanza malfamato, si può passeggiare per il barrio, fermandosi ad ascoltare i suonatori ambulanti o ad assistere aimprovvisazioni di tango sulla strada, si può sbirciare nei negozietti, sistemati “ad arte” nelle vecchie case, alla ricerca del souvenir perfetto da portare via con se’, o prendersi un po’ di tempo per bere un caffè o un mate, seduti in uno dei tanti locali sulla strada, magari soffermandosi, per un momento, a pensare che dietro la facciata prettamente turistica, variopinta e allegra, delle due vie principali si nasconde la triste, secolare, degradata realtà di un quartiere operaio che ancora cerca il suo riscatto!!
Tangueri...
Non si può lasciare la Boca senza prima aver fatto una sosta alla Bombonera, il mitico stadio di calcio della squadra del Boca Juniors. Lungo il perimetro della struttura ci sono dei bellissimi murales che illustrano le vicende e gli eventi particolari che hanno caratterizzato il club porteno nel corso del tempo, dalla sua nascita ai giorni nostri, oltre, ovviamente, all’immancabile ed osannata gigantografia del Pibe de Oro… al secolo Diego Armando Maradona!
Suerte…
La "Bombonera"


Alla Boca Maradona e'... ovunque!!!

martedì 18 febbraio 2014

La Puna, Argentina da film

Articolo tratto da "Dove Viaggi"...

"Vulcani alti 7000 metri. Distese nere di basalto, canyon infuocati, lagune blu. Una delle ultime frontiere selvagge del pianeta. A due ore (in aereo) da Buenos Aires





  








Trascurata dalle guide turistiche, con poche, essenziali, infrastrutture, la Puna è una delle ultime frontiere selvagge del pianeta. Si fatica a individuarla persino sulle mappe. Un vasto spazio bianco che si estende dalla provincia di Catamarca a quelle di Salta e Jujuy, con un lato appoggiato al Cile. Ha l’aspetto di un altopiano, ma dal punto di vista geologico è unacordigliera vulcanica, caratterizzata da depressioni, che corre fra i 3 e i 5000 metri di altezza. Un paesaggio dalla bellezza mutevole, con dune altissimelagune smeraldo, distese nere di basalto, laghi salati, pennacchi di argilla, vulcani stilizzati come piramidi. Un luogo lunare, unico anche dal punto di vista climatico. Gli studiosi scherzano sul fatto che a causa delle forti escursioni termiche in un solo giorno si può passare attraverso quattro stagioni: dalle 8 alle 11 del mattino è primavera, dalle 11 alle 16 estate, dal tramonto all’imbrunire autunno e, quando cala la notte, inverno. Da febbraio a Pasqua, è il periodo ideale per visitare la Puna: è l’estate australe, la stagione umida in cui la vegetazione si fa rigogliosa e il caldo allenta a tratti la morsa (in dicembre e gennaio il calore può rivelarsi molto faticoso). 


Si parte dalla città coloniale di Salta, a poco più di due ore di volo da Buenos Aires. Per dormire, una soluzione di charme è Finca Valentina (prezzi: doppia b&b da 110 €), casa di campagna che l’architetto Valentina Fiorio e il marito Fabrizio Ghilardi, milanesi innamorati della Puna, hanno trasformato in hotel con piscina e giardino. A colazione si gustano torte appena sfornate e confetture artigianali, mentre per cena si servono risotti e arrosti, sempre seguiti da dessert tipici. L’alternativa, per chi vuole vivere l’esperienza di un’estancia, è El Bordo de las Lanzas (prezzi: doppia in ½ pensione da 220 €), a un’ora da Salta, una tenuta da generazioni proprietà della stessa famiglia. Il casco, la parte principale della casa, è un magnifico esempio di architettura coloniale, con spesse pareti, patii e portici orlati da glicini. Vale la pena di programmare un’escursione a cavallo, accompagnati da veri gaucho, tra i terreni coltivati a mais, grano e canna da zucchero, magari fino alla Riserva di Tolar, tra specchi d’acqua popolati da yacaré, i caimani del Sudamerica. Al rientro ci si ritempra con una nuotata in piscina o un massaggio detox. 



Per abituarsi gradualmente all’altitudine della Puna, dove ci si inerpica su passi che superano i 4000 metri, è consigliabile procedere per tappe. Per esempio, programmando una sosta di un paio di giorni a Cafayate, a poco più di 1600 metri, una cittadina adagiata nella valle di Calchaquíes, tra montagne e vigneti da cui si ottengono vini d’altura. La strada che collega Salta a Cafayate attraversa un territorio selvaggio un tempo sommerso dal mare, con fossili di pesci e conchiglie. Lungo il percorso si susseguono gole e canyon che il vento, l’acqua e il tempo hanno modellato in monumenti di roccia, come la Garganta del Diablo e l’Anfiteatro a conca, dall’acustica perfetta. 



A Cafayate si può dormire al Viñas de Cafayate-Wine Resort (prezzi: da 145 €), circondato da vigneti e con cantina dove si degustano i vini della regione, secondo centro di produzione nazionale dopo Mendoza. Nella cittadina la vita si svolge intorno alla piazza della Cattedrale, affollata dalle bancarelle degli artigiani. Un’occasione di shopping a prezzi moderati, complice il cambio superfavorevole (1 € vale circa 8,5 pesos, che diventano 12 al cambio blue o parallelo, riportato ogni giorno dal quotidiano La Nación). Da Iñés Condorí e Pio Alancay (tel. 0054.9.3868.40.70.58, inescondori@yahoo.com.ar, su appuntamento) si trovano coperte e scialli in lana di lama, soffice come cashmere, realizzati dagli artigiani di Jasimaná, altopiano a sud di Salt. 



La mattina presto si lascia Cafayate e si procede verso sud lungo la leggendaria ruta 40, spina dorsale dell’Argentina dall’estremo Nord alla Terra del Fuoco, cantata da Bruce Chatwin nel suo In Patagonia (ed. Adelphi). Lungo il cammino è d’obbligo una tappa allerovine precolombiane di Quilmes, uno dei principali siti argentini. Vale una visita anche il museo archeologico, dove sono conservati oggetti delle culture aborigene della zona (lun.-dom. 8-18, tel. 0054.38.92.42.10.75). Il pranzo si fa qualche chilometro più avanti da don Raúl, specialista in asado, che serve bistecche all’ombra di un grande albero, su un tavolo in pietra con una tovaglia candida. Un’altra ora di guida e c’è il deserto. Ci si muove in fuoristrada (imprescindibili navigatore Gps e telefono satellitare, scorte d’acqua e di ossigeno in caso di mal di montagna), si macinano tornanti e ci si insinua tra canyon per circa 70 chilometri, poi le curve finiscono contro una gigantesca duna di sabbia chiara. È la riserva diLaguna Bianca, a 3000 metri. L’aria è cristallina. Branchi di vigogne si abbeverano con i cuccioli. 



La Puna è un museo di vulcanismo a cielo aperto, con coni alti sino a 6-7000 metri, come il vulcano Galán, che svetta all’orizzonte. Attorno, specchi d’acqua intervallati da saline candide, dune dorate, alamos verdi, alberi frangivento. Arrivati all’oasi di El Peñon al tramonto, l’aria si fa fresca: di notte a febbraio la temperatura cala sino a 10-15 gradi. L’altimetro segna 3400 metri. Nelle camere dell’Hostería El Peñon (prezzi: doppia da 110 €) i piumini sui letti garantiscono un riparo dal freddo del deserto. L’Hostería è un hotel con tutti i comfort, compreso collegamento internet satellitare. A cena il menu prevede empanadas, stufato di carne e zuppa, utile poiché a queste altitudini l’organismo tende a disidratarsi. Fuori, la magia della Puna e la notte australe. Al risveglio, pane caldo e torte fatte in casa precedono le due escursioni clou del viaggio, con una pausa a metà giornata per sottrarsi al sole rovente: la mattina si visita la Riserva di Laguna Grande, il pomeriggio il campo di pietra pomice



Laguna Grande è un paradiso rosa a 4150 metri di altitudine. Da ottobre ad aprile è il maggior punto di ritrovo dei fenicotteri andini: la concentrazione raggiunge i 20.000 esemplari, che lasciano sul terreno un tappeto di piume rosa. Attorno, sculture di ignimbrite, roccia vulcanica bianca, rossa e marrone; poi i profili di vulcani alti 5000 e più metri. A poco più di un’ora di jeep si trova la caldera (depressione formata nel cratere spento) del vulcano Galán, a 4700 metri, con 42 chilometri di diametro. In pick up si va all’interno sino alla Laguna Diamante, a cui l’arsenico conferisce tonalità smeraldo o celesti a seconda della luce. Si torna all’Hostería El Peñon per una zuppa di verdure e torte salate. 



Nell’oasi di El Peñon vivono circa 300 persone. Discendenti fieri e taciturni dei cacciatori che popolavano la Puna. Qui si producono i migliori peleros – sotto sella di lana – di tutta l’Argentina, perfetti come tappeti e a prezzo accessibile: 550 pesos (circa 64 €) per una confezione da tre. La pista che conduce al campo di pietra pomice si snoda tra saline bianche, ciuffi di cortaderas e montagne screziate da vene di quarzo. Il deserto appare all’improvviso: un’immensa distesa di pomice, nata milioni di anni fa da un’esplosione del vulcano Blanco, la cui lava è diventata roccia che i venti hanno modellato in dune alte fino a trecento metri e labirinti. Si scende dall’auto per addentrarsi nel deserto di Pomice e raggiungere la vetta di un bastione. Al tramonto lo scenario è indescrivibile. 



Il giorno successivo sono in programma 350 chilometri nel cuore della Puna. Meta finale è l’ex stazione ferroviaria di Tolar Grande, una distesa di terra rossa a 3500 metri. Il luogo della Terra più simile a Marte (la Nasa qui fa missioni di geologia spaziale). Antofagasta de la Sierra, capitale della Puna, è l’ultimo avamposto collegato dall’asfalto. E anche l’unica vera cittadina, con scuole, ospedale, municipio e piazza. All’ingresso del paese si costeggia la laguna blu circondata da pascoli dove brucano lama e pecore. Tra novembre e dicembre, durante la festa della Puna, i pastori competono per il lama più bello. Poco dopo si sussulta quando il fuoristrada scala il passo più alto dell’itinerario, a 4700 metri. La vegetazione scompare. Solo campi di paja amarilla, pianta perenne dalle foglie gialle, e pietre. 



Ci si avvicina al Salar de Antofalla, una striscia incastonata tra le montagne e sovrastata dal vulcano omonimo. La pista bianca è macchiata da minerali rossi, grigi e neri, e costellata dipiccoli coni vulcanici e lagune trasparentiLa più fotografata è celeste e ha la forma di un cuore. L’area è ad alta concentrazione di litio, l’oro bianco del Sudamerica. Antofalla è un villaggio, costruito dai gesuiti, che conta 30 abitanti. Si pranza a casa di don Rafael Reales, gran conoscitore della Puna e narratore di storie. In tavola compaiono asado di agnello, pizza e insalata. Le case private qui sono l’unica forma di ospitalità possibile. Non ci sono hotel e bisogna adattarsi al bagno all’esterno. 



Un’ora e un quarto tra le Ande e, il giorno dopo, si raggiunge Antofallita, due abitanti appena, un luogo da realismo magico alla García Márquez. La strada è un susseguirsi di rilievi. Si scende verso il Salar de Arizaro: 1600 chilometri quadrati di bianco abbagliante, secondo deposito di sale al mondo dopo il Salar de Uyuni in Bolivia. L’aridità del terreno e la spinta del sale creano un effetto di onde. In mezzo campeggia il Cono de Arita, color terracotta. Siamo sulla rotta degli antichi arrieros, i capi mandria che conducevano le vacche dal Nordovest dell’Argentina al Cile tra il XVIII e il XIX secolo. A Tolar Grande si dorme all’Hostería Municipal Casa Andina (prezzi: doppia da 63 €) e si mangia a menu fisso in piccole osterie del villaggio. A pochi chilometri, nella luce del mattino l’acqua degli ojos del mar – piscine naturali nelle saline – è turchese e trasparente. 



Si lascia la Puna passando dal Deserto del Labirinto: dune fossili di dieci milioni di anni. La strada si incunea tra coni di argilla e cristalli di gesso. A 3550 metri l’ossigeno scarseggia, ma con un ultimo sforzo si scala una duna per godersi il panorama impagabile dei vulcani più alti del mondo allineati nel cielo blu delle Ande. Tra tutti il Llullaillaco, 6739 metri, dove sono state rinvenute, praticamente intatte, mummie inca ibernate, ora custodite nel Museo di Arqueología de Alta Montaña di Salta. A San Antonio del Los Cobres si scende verso valle attraverso la Quebrada del Toro, costeggiando la ferrovia del Tren a las Nubes, miracolo ingegneristico che sfiora le nuvole a 4000 metri. Si può tirare dritti verso Salta o fare una deviazione sino a Purmamarca per visitare la Quebrada de Humahuaca, sito Unesco, con la montagna dei sette colori."

martedì 21 gennaio 2014

Buenos Aires

"Nei paesi che ho visitato non sono stato solo solo il piacere segreto del viaggiatore incognito, ma la maestà del Re che vi regna, e il popolo che vi abita e tutta la storia di quella nazione e delle altre. Gli stessi paesaggi, le stesse case, li ho visti perché io sono stato loro, fatti in Dio con la sostanza della mia immaginazione." F.P.


Ho ritrovato questa immagine tra quelle scattate che mi riporta diretto a Buenos Aires; questa immagine, secondo me, rende il senso di ciò che la città rappresenta.
‘BAires’, di per sé, è la copia di qualunque capitale europea a cui architetti alloctoni si sono ispirati. Com’è ovvio una copia, per quanto curata, è molto spesso una brutta copia dell’originale e Buenos Aires non fa eccezione. Vista con certi occhi emerge lampante la sensazione del ‘déjà-vu’ ma oggi, senza malizia, si possono scorgere mille particolari unici, come è unico ogni angolo del mondo.
Innanzitutto Buenos Aires è piena di argentini e gli argentini fanno parte di una comunità che ha vissuto la crisi economica prima di noi.
Camminando per strada, scopri angoli in cui le persone ricavano uno spazio vitale, magari arrotando lame, vendendo pianoforti o smerciando abbigliamento a basso costo proveniente dalla Cina. Non di rado questi spazi sono ricavati su edifici notevoli, edifici che con la loro architettura rappresentano la storia della città.
Mi viene da pensare che prima della crisi del 2001 qui trovavi solo boutique di alta moda, perché il centro è solitamente il luogo adibito al lusso. Mi piace pensare che la crisi, per quanto ha abbattuto un’ economia, abbia ridato vita all’argentino che, rimboccate le maniche, ha provato a risorgere.
Magari tra qualche anno tutto sarà come prima, tutto tornerà come prima, tutto sarà di nuovo come le regole del mercato impongono. Nulla mi toglie l’idea che, almeno per ora, la città sia in mano agli argentini e che questo sia lo specchio di come l’Europa e tutto il mondo ora in crisi, si ritroverà tra soli10 anni.

Ed ora la città…
Buenos Aires è una metropoli immensa, in autostrada si percorrono 40km che attraversano tutta l’area urbana  per arrivare al “Microcentro”.
Per ottimizzare la visita di una zona così vasta, proviamo ad organizzarci nel miglior modo: il primo giorno la zona del centro e gli altri due spesi tra nord e sud della città. Seguiamo il consiglio di una signora conosciuta a San Antonio de Areco e prendiamo il bus che fa il giro della città, scendendo nelle zone che ci interessano (il tour completo dura 2 ore e 30’); Recoleta e Palermo a nord e La Boca a sud.
Il primo giorno lo spendiamo percorrendo Avenida de Mayo. Questa è la via principale di ‘BAires’, alle due estremità si affacciano la Casa Rosada e il ‘Palacio del Congreso’ argentino, fronteggiandosi per ricordare l’uno all’altro che non esiste l’uno senza l’altro, non esiste il potere del sovrano senza il popolo.
Tutta la via è un susseguirsi di edifici con rilevanza storica, dove nei primi anni del secolo era concentrata la zona importante della città; il gran viavai ci conferma che è proprio questa via il cuore pulsante della città.
Il ‘Palacio del Congreso’ è simile a tanti altri sparsi per il mondo; un presidio fisso di fronte l’ingresso sta a ricordare ai politici argentini i problemi sociali ormai radicati in ogni nazione: disoccupazione, sfruttamento del lavoro, disparità sociale.
Anche in questa piazza, tra le più visitate di Buenos Aires, ci sono ‘fantasmi’ di un passato prospero, proprio alla destra del palazzo del congresso c’è un edificio abbandonato sulla cui facciata sono montate le pale di un mulino. Il palazzo era la ‘Confiterìa Molino’, bar molto frequentato da personaggi politici ma tutt’ora in rovina. Lo immagino tra qualche anno restaurato ed aperto a fornire una nuova attrattiva turistica.

Il palazzo più curioso ed interessante è ‘Palacio Barolo’, una torre alta 100mt che Luigi Barolo, arrivato dall’Italia e arricchitosi con la produzione di cotone, fece costruire con una simbologia ricavata dalla Divina Commedia di Dante Alighieri di cui era grande ammiratore (i 100 metri sono tanti quanti i canti della Divina Commedia). Tra citazioni, immagini allegoriche e  simbologie tuttora ci sono alcuni particolari che non sono stati svelati, il che rende il palazzo più affascinante.


Lungo la via si incrocia l’arteria Avenida 9 de Julio che i ‘Porteños’ (appellativo con cui vengono indicati i cittadini di Buenos Aires) considerano il viale più grande del mondo con una larghezza di 140metri. Una decina di corsie per ogni senso di marcia smistano il traffico al centro della Capital Federal.
Sempre su Avenida de Mayo in direzione della Casa Rosada, si incontra il caffè Tortoni.
Questo locale è da sempre frequentato da poeti, scrittori e musicisti tra cui l’argentino Borges, ma anche Pirandello o Garcìa Lorca. Al primo piano ospita l’Accademia Nazionale del Tango con tanto di museo, corsi di ballo e una biblioteca per gli studiosi del Tango. Proprio al caffè Tortoni vanno in scena quotidianamente spettacoli di tango da oltre cento anni.

Una delle scoperte più piacevoli di Avenida De Mayo è stata, senza dubbio, il “paseo della resistencia”; si tratta di un ampio locale dove piccoli artigiani producono di tutto: sciarpe e cappelli, portachiavi, bigiotteria, quadri, ecc.. Il tutto sta in vendita ed i proventi vanno a finanziare questa “associazione”. Il paseo organizza anche spettacoli aperti al pubblico, questi eventi si tengono nel “sotano” (cantina), sotto il locale. Proprio l’ultima sera siamo stati invitati ad uno spettacolo di tango, “el tango del sotano”; del tutto inaspettatamente ci siamo ritrovati in un ambiente spoglio, ma pieno di umanità (una vera e propria cantina, anche se molto grande) ad ascoltare un’orchestra (la Vidù) che, vista anche la particolare situazione, ci è sembrata eccezionale.

Proseguendo per l’Avenida de Mayo si arriva a Plaza de Mayo; questa è senz’altro la piazza più famosa d’Argentina, se non altro la più suggestiva. La piazza è dominata dalla Casa Rosada, il colore particolare del palazzo rende il colpo d’occhio piacevole anche se la piazza è più interessante se guardata con l’occhio della storia.
Dal balcone del palazzo rosa, Evita Peron (tra gli altri) era solita parlare al popolo; tali comizi erano presenziati anche da 350.000 persone.
Sotto la dittatura, la piazza è diventata il luogo di ritrovo delle mamme di desaparecidos che cercavano notizie dei propri figli. Ora le stesse mamme fanno parte dell’associacione delle “abuelas”, le nonne che cercano con ogni mezzo di ritrovare i propri nipoti. I bambini appena nati di persone perseguitate dal regime, venivano dati in affidamento in maniera illegale ad amici o parenti dei funzionari di governo; l’associazione de “las abuelas” si propone di ritrovare questi bimbi, ultimamente anche con il ricorso all’esame del DNA. La ricerca è oltremodo difficile spesso perché, non esistendo documenti legali, tante persone non sanno di essere state adottate quindi non si sottopongono ad esami specifici (P.S. il romanzo “I venti anni di Luz” di Elsa Osorio racconta la storia agghiacciante di Luz, vittima di un adozione del genere).

Poco dietro la piazza, c’è la bella Iglesia de San Francisco. Quello che ci ha colpito di più (La chiesa era chiusa) sono stati dei pannelli posti sulla facciata che descrivono le varie tappe del cammino francescano; tra queste non poteva mancare la nostra Gubbio. E’ strano imbattersi in situazioni del genere a 12.000 chilometri da casa, nel centro di una delle più grandi metropoli del mondo.



I giorni seguenti siamo andati alla scoperta dei quartieri della Recoleta e di Palermo; questi sono il ‘salotto buono’ di Buenos Aires, piazze tranquille, palazzi curati e giardini rigogliosi rendono piacevole una passeggiata che, date le distanze, può spaventare.
Recoleta ospita il Museo Nacional de Bellas Artes con una delle collezioni più importanti d’America, sono esposte opere di Goya, Rembrandt, Klee, Degas, Toulouse-Lautrec e molti altri. Anche le zone limitrofe sono interessanti: parchi e aree urbane sono trasformate in un museo a cielo aperto dove sono esposte opere d’arte moderna. Questa zona, sulle rive del Rio della Plata, è diventata la “vetrina” della città tanto da farla annoverare fra le 3 capitali mondiali dell’arte moderna e del futurismo.

Nei parchi è facile imbattersi in un'altra istituzione di BAires, tipica dei quartieri ricchi: i “dog-sitter”. Ragazzi che portano al guinzaglio anche 10 o 15 cani i cui padroni, abitando in attici ed appartamenti di lusso ma senza giardino, affidano per la quotidiana passeggiata.
Una delle attrazioni della zona è il cimitero della Recoleta, cimitero monumentale che ospita, tra gli altri, la tomba della famiglia Duarte, cioè di Evita Peron. Anche noi non ci siamo sottratti a questa visita non del tutto priva di fascino.
Plaza San Martín è la tipica oasi quieta del quartiere Retiro, prossima alle arterie trafficate che smistano il traffico imponente, ma lontana da tutto. Sembra di camminare in una qualunque piazza di Parigi tanto sono somiglianti alcuni palazzi ad un architettura marcatamente europea.

Nella parte bassa il monumento ai caduti delle isole Malvinas (La guerra delle Falkland) rende ancora più vivo il senso di appartenenza che hanno gli argentini alla propria nazione, se mai ci fosse bisogno di ricordarlo.
La lunga giornata alla scoperta di ‘BAires’ ha bisogno di una pausa gratificante ad un tavolo e per cena. La scelta è ricaduta ancora sul quartiere di Palermo, precisamente a “Palermo Viejo”. L’omonima piazza è un esplosione di luci e colori, i tanti locali danno l’idea di un luogo ideale per qualunque tipo di festa. La zona brulica di pub, bar, discoteche, ma non essendo l’ora più adatta siamo andati a cena con la promessa di tornare, prima o poi, in questo luogo, magari per festeggiare qualche ricorrenza.
Il ristorante per la cena lo abbiamo scelto accuratamente tra quelli indicati dalla guida, anche i cibi sono parte fondamentale della scoperta di un luogo; siamo finiti ne “El preferido de Palermo”. Questo ristorantino caratteristico si è rivelato eccezionale, ottima la cucina (a base di carne) ed un servizio rapido e cordiale in un ambiente da osteria.

Il nostro ultimo giorno in Argentina è speso in gran pare ne “la Boca”, quartiere storico di Buenos Aires sia per “El Caminito”, angolo colorato di questa periferia (pericolosa di notte, come ci ha confermato più d’uno) sia per la squadra di calcio del Boca Junior.












Infatti il giro nel quartiere inizia dalla visita guidata de “la bomboniera”, un pezzo di storia argentina legato al mondo del calcio. Simpatica la visita, la cui guida era un tifoso del Boca Junior; per quanto riguarda lo stadio, basta dire che ai tifosi ospiti viene riservata una tribuna priva di acqua, bagni e uscite di sicurezza. La guida, riguardo allo spogliatoio della squadra ospite dice allargando le braccia: “Vi basti pensare che, dopo 30 anni, sono stati riverniciati quest’anno!”.

El caminito è forse l’angolo di Buenos Aires più conosciuto, qui si balla il tango a tutte le ore e i ristoranti offrono spettacoli di ballo durante tutta la giornata. Disturba un po’ l’aria da “accaparramento” clienti, procacciatori tanto fastidiosi si trovano in poche zone nel mondo. Qui tutto sembra finto, tanto per adescare i turisti, così tanto finto che non riconosci l’originale dal ricostruito. Quartiere molto particolare, però; i colori smaglianti delle case in lamiera derivavano (in origine) dai colori avanzati per le barche dei pescatori genovesi emigrati. E qui tutto è colorato, dagli artisti di strada, dai mimi fino ai semplici personaggi da fotografare. C’era, infatti, un sosia di Maradona eccezionale; non il Maradona atleta dei primi tempi ma quello panciuto di fine carriera.
p.s. Questo è un altro sosia 'famoso' del calciatore, non quello de La Boca. Ma rende l'idea...
L’ultima parte della giornata la spendiamo ripercorrendo con calma la ricca zona del porto e Avenida de Mayo. Resta ancora molto da vedere in una metropoli immensa come questa, varrebbe la pena vivere la 'Movida Porteña' o entrare nei ritmi umani di Buenos Aires ma tanto è bastato per avere un'idea abbastanza completa di questa perte del 'nuovo mondo'. A presto Buenos Aires.


martedì 14 gennaio 2014

La sconfinata terra dei Gauchos

La Pampa argentina


"...Avevo il tempo di pensare al tempo, a come per istinto trovo sempre il passato più affascinante del futuro, a come il presente spesso mi annoia e debbo immaginarlo nel modo in cui ne ricorderò per poterne godere sul momento..." TT

E’ il 22 luglio. L’arrivo all’aeroporto di Buenos Aires è l’immagine di un brutto risveglio dopo una notte travagliata. Le poche ore di sonno rannicchiato su un sedile, mi fiaccano il cervello. La calca agli arrivi internazionali è soffocante, qualche minuto per cambiare i primi pesos poi di corsa a ritirare la macchina. Un Citroen Berlingo che d’inverni ne ha già visti più d’uno, ma il contachilometri, probabilmente ritoccato, li nasconde molto bene.
Primo trasferimento verso Cordoba, verso nord-ovest. Come ci appare subito chiaro, la strada sarà un compagno di viaggio instancabile qui in Argentina. 9 ore di rettilineo e qualche semicurva, spezzato ogni centinaio di chilometri da una rotatoria immersa nella pianura della Pampa. E "pianura", dopo questo viaggio, assumerà tutto un altro significato. Una pianura sconfinata, sembra quasi di vedere la terra piegarsi di fronte e di lato. Arriviamo in serata e l’alloggio piacevole ci fa scordare la fatica di quasi 2 giorni di viaggio ininterrotto. Poi a cena, iniziamo nel modo peggiore in un “all you can eat” dove chi, come me, non riesce a gestire i languori dettati da file interminabili di vassoi, si arena dopo un quarto d’ora di scorpacciata.
E’ mattina (23 luglio), colazione in un bar retrò convenzionato con l’hotel e via alla scoperta della città. Bisogna dimenticarsi di venire dalla vecchia Europa; la città non è preparata per orde di turisti come qualunque capitale europea o qualunque città degna di nota. Cordoba, al contrario, appare come una città moderna, vissuta e molto viva sin dalle prime ore della mattina. Si alternano grandi palazzi ad edifici e piazze più “caratteristiche” del Sud America.



Con nostro grande rammarico apprendiamo dall’ ufficio informazioni che sabato e domenica gli argentini fanno festa, ci sembra di capire dal tono o dalla poca voglia delle commesse che sia un usanza tutt’altro che sporadica in Sud America; quindi musei chiusi, tutto rimandato a lunedì.

Comunque l’inverno caldo argentino ci guida senza sosta per tutta la mattinata fino a scoprire la perla di Cordoba, il quartiere gesuita con la prima, la più antica, università argentina. La visita guidata ci mostra il patio e le aule dove tutt’ora si tengono le lezioni ed un museo tra cui spicca il registro delle punizioni agli studenti.



All’uscita l’aria  si è fatta ancora più calda; sembra l’ora giusta di concedersi uno spuntino e di rinfrescarsi un po’, saranno oltre 20 gradi (ma non doveva essere inverno?) e ci fermiamo per un aperitivo a base di “Empanadas” e “Quilmes”, la birra più rinomata in Argentina.


Ottime le “Empanadas” del Rincon, tanto che raddoppiamo la dose sia di cibo che di bevande e un’ idea comincia a circolare nel gruppo, perché non partire nel pomeriggio alla ricerca di qualche estancia gesuita? In fondo, abbiamo appreso, è il motivo per cui Cordoba è patrimonio UNESCO. Bene, altre due “Empanadas” e ci mettiamo in viaggio.

Sebbene i chilometri non siano molti (70?) gli ultimi 15 sono su uno sterrato degno di un rally, ma tutto sembra aggiungere fascino ad una ruta per sierras (finalmente un paesaggio collinare) osannata dalle guide che abbiamo con noi. In realtà il bel paesaggio intorno Cordoba “punteggiato di paesi caratteristici” è diventato un rifugio turistico con belle villette e strade pulite (incredibile aspetto, questo delle strade pulite, pari solo al ricchissimo New England statunitense).

  
Pittoresca la Estancia de Santa Catalina che però, essendo sabato, ci viene fatta visitare solo a metà. Un Cristo seduto con le ginocchia artritiche ci viene presentato come il vero “protagonista”. Un Cristo seduto non rappresentato in nessuna chiesa italiana (giura la guida intraprendente), tanto meno con le ginocchia artritiche dovute al lavoro nei campi. Non dimentichiamo che le estancias gesuite erano fondate sul lavoro degli schiavi, piegati tutto il giorno nei campi. Da qui le ginocchia.
Saranno le 17, fa caldo per essere inverno (saremo ancora intorno ai 20 gradi) per cui una merenda è d’obbligo. Il ‘ristorantino’ fuori la estancia non ha niente a che vedere con il rinomato ristorante a 5 stelle indicato nelle guide (ma chiuso per bassa stagione), d'altronde non era quello che cercavamo. Il formaggio fresco ed il salamino non ancora stagionato accompagnano degnamente la solita birra (vero leitmotiv della vacanza), il locale ci affascina con i sui scaffali ‘precari’ e un cliente abituale che intrattiene ‘los italianos’ con lunghi discorsi sui calciatori argentini che hanno fatto carriera nel Bel Paese.



Tornati in città dedichiamo ancora qualche ora alla visita di Cordoba e devo dire che l’atmosfera che si respira tra centinaia di bancarelle improvvisate e la gente che a tutte le ore del giorno riempie le strade ci lasciano un ricordo molto gradevole della città.



"Muovendomi ... in treno, in nave, in macchina, a volte anche a piedi, il ritmo delle mie giornate è completamente cambiato, le distanze hanno ripreso il loro valore e ho ritrovato nel viaggiare il vecchio gusto di scoperta e di avventura" TT


Il giorno seguente (24 luglio) abbiamo in programma la visita al Parque Nacional Quebrada del Condorito, riserva naturale protetta come habitat ideale per i condor. La strada per arrivare al parco è una panoramica spazzata da un vento costante, risalire le sierras è veramente affascinante, un alternarsi di saliscendi tra valli silenziose e piccoli paesi caratteristici. Completano lo scenario i colori delle rocce, le pareti ripide e le gole tagliate da una strada larga almeno 10 metri.

Arriviamo al parco in tarda mattinata e al centro informativo ci danno le indicazioni necessarie. 
Il parco si snoda su un percorso tabellato, ciò che ci colpisce ancora una volta è il grande rispetto per la natura, fantastica prerogativa tutta argentina.

Il percorso passa sulla  cresta di basse colline rocciose dove un vento costante, per nulla freddo, la fa da padrone. I 12 chilometri di sentiero (tra andare e venire) li copriamo in un tempo sorprendente (appena 3 ore), ma il vento limita lo spettacolo dei condor in volo; ci deliziano solo con qualche sporadica apparizione appena fuori le insenature che usano come riparo.


Dopo il pranzo ci dirigiamo al paese di Alta Gracia dove da qualche anno è stata inaugurata la casa museo del Comandante Ernesto “Che” Guevara. Si tratta della casa che abitò per una decina d'anni in questo paese deserto ed è proprio questo a rendere affascinante il museo, un paese quasi spettrale fatto di case di legno con giardino e pochissima gente per le strade sebbene siano appena le 18. Appare tutto surreale, ovattato (o sarà la mia suggestione?!).
Tutto cambia quando si arriva di fronte a questa casa, la risonanza che ha nella nazione (e in tutto il mondo) la potete vedere avvicinandovi all'edificio. Almeno una ventina di macchine parcheggiate alla meglio sui marciapiedi o sulla carreggiata lasciando a malapena lo spazio per passare.

Il museo è una raccolta di alcune foto di famiglia con diversi aneddoti sull'infanzia del personaggio. 
La famosa Poderosa, la moto con cui il giovane Guevara fece un viaggio di 6 mesi nella “Maiuscola Argentina” in compagnia dell'inseparabile amico Alberto Granado e che cambiò per sempre la sua vita (Dagli appunti di questo viaggio è stato tratto il film “I diari della motocicletta” (2004) e un documentario di Gianni Minà insieme a Granado che ripercorrono lo stesso tragitto a 50 anni di distanza).
La successione di foto e cimeli arriva fino alle ultime fasi della vita del “Che”, passando per la rivoluzione cubana ed i vari incarichi da ministro.
Come gesto di commiato al grande personaggio argentino, ci siamo concessi la solita Quilmes nel giardino sul retro della casa.


E' già lunedì mattina (25 luglio) ed abbiamo in programma la partenza da Cordoba in direzione Mendoza (dove non siamo mai arrivati), ma vogliamo prima vedere il museo alla memoria dei desaparecidos a Cordoba. 
Dopo il week end di chiusura spero che sia aperto, ma arrivati davanti alla porta ci comunicano che il museo aprirà solo giovedì mattina per chiudere venerdì sera.
I pannelli in plexiglas attaccati sui muri all' esterno del museo sono comunque agghiaccianti, lunghe e sinuose file di nomi di ribelli, contestatori del regime, cospiratori, liberi pensatori o presunti tali, scomparsi nel nulla ad opera del regime militare al governo del paese fino al 1983. Lunghe e sinuose file di nomi che disegnano enormi impronte digitali. Come chi ha comunque lasciato un segno; come chi, nella storia oscura dell' Argentina moderna, ha comunque lasciato un segno.


E via sulla strada. La rotta verso Mendoza è, al solito, interminabile. A ravvivare il viaggio una perturbazione proveniente dalle Ande, violenta e umida, ma tutt'altro che fredda. Nuvole di polvere si sono alzate ad oscurare il cielo e nascondere la terra, buio per qualche chilometro e rapidi scrosci d'acqua, nulla di serio.
Siamo ormai prossimi all'ora di pranzo, abbiamo fatto si e no 300km ma una pausa è d'obbligo per ribadire il concetto che SIAMO IN VACANZA. Pranzo a Rio Quarto e partenza per San Luis, la città più vicina alla nostra prossima meta, il Parque Nacional Sierra de las Quijadas.
Passiamo la notte in questa piccola città che, per quanto siamo stati, ci ha mostrato ben poco. 




La mattina seguente, molto presto, siamo partiti per il parco dove una deliziosa guardia-parco ci ha illustrato cosa vedere augurandoci una buona giornata (“Disfruten, el dia està hermoso!”).
Il parco è una groviglio di canyon scavati dall'acqua su una roccia friabile e di colore rosso intenso. Le guide che ho letto ti fanno immaginare il parco come lo scenario del cartoon famoso negli anni '80 “Wile E. Coyote e Road Runner”.
La passeggiata breve (circa 45') è incantevole, un balcone naturale si apre sopra una vallata silenziosa e lontanissima dall'umanità. Ancora una volta siamo sorpresi dal rispetto che gli argentini hanno per l'ambiente e la natura; mi vien da dire che “i parchi gli vengono proprio bene”.

Rientrati a San Luis, pranziamo in un ristorante pieno di camionisti, indice mondiale di buona cucina; ci interessa in particolare l'ASADO, uno dei simboli distintivi degli argentini nel mondo. 
N.B.: questo è il fenomenale asado del 'Tincho'!
L'asado non è solo carne alla brace, è uno stile di vita, una tradizione tramandata di padre in figlio proprio come i racconti di gauchos. 
Per asado gli argentini intendono qualunque tipo di carne (vacca o vitello che sia), cotto su una griglia a debita distanza da pochi carboni infuocati. Il tempo che impiega la carne a cuocere raggiunge le 3 ore ma la paziente attesa è ricompensata da una cottura uniforme e da una carne squisita. Non potrebbe essere altrimenti visti gli immensi pascoli che compongono La Pampa.


Affaticati più dal pranzo che dalla camminata, riprendiamo lentamente la strada per Santa Rosa, vero fulcro di tutta la vacanza. Lì abbiamo l'unico appuntamento inderogabile, un matrimonio argentino.